Berlinguer si iscrive al Pci nel 1943, aderendo alla sezione giovanile di Sassari. Come altri giovani della sua generazione, diviene comunista attraverso l’antifascismo. Egli condivide la proposta di partito nuovo di Togliatti, al quale viene presentato nel 1944 dal padre Mario. Nel Pci togliattiano le istanze di emancipazione sono affermate nella cornice della “democrazia progressiva”. La strategia è pensata in un contesto di collaborazione tra le forze antifasciste, che però si esaurisce con la guerra fredda. Il Pci non rinuncia alla via democratica al socialismo, partecipando da protagonista alla stesura della Costituzione e contribuendo successivamente alle lotte per attuarla; tuttavia, mantiene come punti di riferimento l’Urss e i paesi del blocco sovietico.
Berlinguer si forma a cavallo di questi mondi. Nel 1949 è eletto segretario della Federazione giovanile comunista italiana e l’anno seguente presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica. Giunge quindi ai vertici del Pci: nel 1958 è nella segreteria nazionale, dal 1962 è in direzione e segreteria, nel febbraio 1969 è eletto vicesegretario al fianco di Longo, nel marzo 1972 diviene segretario. È ora alla guida di una forza nazionale che vuole interpretare le istanze di cambiamento emerse negli anni Sessanta, proponendosi di attuare il progetto costituzionale e difendere la Repubblica da attacchi eversivi di vario genere. Al tempo stesso, dopo la repressione della Primavera di Praga, Berlinguer accentua l’autonomia del Pci dal “campo socialista”, di cui sollecita una riforma in senso democratico.
La sua proposta per l’Italia è sintetizzata nel 1973, all’indomani del golpe in Cile, nella formula del compromesso storico, ossia di una nuova intesa tra le grandi forze popolari costituenti (cattolici, comunisti e socialisti). È una linea premiata dagli elettori. Nel 1976, dopo aver superato il 34% dei voti, il partito non è più all’opposizione ma non è direttamente coinvolto nel governo del paese. La stagione della solidarietà democratica si sviluppa dal 1976 al 1979, nel quadro di una profonda crisi economica, di una violenza politica diffusa e dell’offensiva terroristica che culmina nel delitto Moro, privando Berlinguer del suo principale interlocutore.
Negli stessi anni, Berlinguer si scontra con la leadership sovietica, ribadendo l’inscindibilità di democrazia e socialismo, e si muove in uno spettro globale di relazioni internazionali: cerca di costruire un fronte eurocomunista coi Pc francese e spagnolo, sostiene i movimenti di liberazione nazionale e le istanze del Sud del mondo, dialoga con le sinistre europee, nel 1980 riavvia le relazioni con la Cina.
Alla fine degli anni Settanta, la solidarietà democratica ha consentito di realizzare importanti riforme rinnovando il Welfare italiano, ma la politica dei sacrifici imposta dal governo e la strategia dell’austerità promossa dal Pci, che propone di bilanciare il contenimento di salari e consumi proprio con le riforme, minano il consenso del partito.
Tornato all’opposizione, in un contesto internazionale segnato dalla recrudescenza della guerra fredda, Berlinguer rinsalda il rapporto con le classi popolari e si sintonizza sulle istanze dei nuovi movimenti di massa: nel 1980 sostiene la lotta degli operai di Mirafiori; dopo il terremoto in Irpinia solleva la “questione morale” e invoca una riforma della politica; si schiera contro gli euromissili; dialoga col femminismo; nel 1984, anno della sua scomparsa, si batte in difesa della scala mobile. Contemporaneamente, la sua riflessione si allarga sempre più verso tematiche universali, dall’ambientalismo alla pace, dalla questione femminile alla critica del consumismo, dal «modello di sviluppo» alla rivoluzione tecnologica, che restano di stringente attualità.